
“I materiali più robusti attualmente in uso sono tutti multistrato: pensiamo ad esempio alle fibre di vetro, o al kevlar dei giubbotti antiproiettile, composto da fibre di carbonio intrecciate”, spiega il coordinatore dello studio Nicola Pugno, professore ordinario di scienza delle costruzioni presso il dipartimento di ingegneria civile, ambientale e meccanica dell’Università di Trento. “Insieme con Stefano Signetti e Simone Taioli abbiamo fatto la stessa cosa, ma su piccola scala – precisa l’esperto – ideando un’armatura di strati sovrapposti di grafene oppure di grafene e nitruro di boro”.
In una simulazione al computer, la nano-armatura è stata colpita con un ‘nano-proiettile’ chiamato fullerene, ovvero una molecola di carbonio fatta di 60 atomi di carbonio che ha la forma di una sfera cava. “Abbiamo ottenuto dei numeri impressionanti”, afferma Pugno. “L’armatura di grafene ha dimostrato una tenacità (cioè una capacità di dissipare energia) pari a 50.000 joule per grammo, che è il valore più vicino mai ottenuto al limite teorico massimo (di 100.000 J/g), mentre il kevlar dei giubbotti antiproiettili si ferma a 100 J/g”. Gli strati hanno un effetto sinergico: più sono numerosi e più cresce la tenacità, almeno fino ad un numero massimo di strati, oltre il quale la resistenza inizia a calare. Anche per questo l’armatura sembra funzionare in modo ottimale nell’infinitamente piccolo, sulla scala dei milionesimi di millimetro.
